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Alicudi

Alicudi

Il paese di Alicudi, all’imbrunire

“Ad Alicudi si viene per la montagna”,
ci dice il nostro oste, arcudaro da tante generazioni.
I suoi occhi verdi e profondi mandano lampi mentre ci descrive Alicudi, la storia, i problemi, i rapporti con le amministrazioni, le capre selvatiche, l’erica sempre più rara, l’unico molo di attracco che cede ogni duro inverno, il fascino di un’isola letteralmente unica, l’amore sconfinato per questo lembo di terra, il suo e quello degli abitanti che sono rimasti ma anche degli emigranti che ritornano.
Da 3000 che erano gli abitanti negli anni ’60, prima che se ne andassero in Australia, si arriva ai circa 100 stanziali di oggi. Nessuno più a coltivare e curare le centinaia di terrazzamenti, che oggi appaiono quasi tutti abbandonati, preda dei fichi d’india selvatici.

Il turismo è stata la svolta e ha portato una certa ricchezza ed attenzione all’isola. Oggi, conclusa l’invasione massiccia e disordinata e anche un pò tardo-hippie di fine anni ’90, Alicudi conosce un turismo più consapevole e rispettoso della piccola comunità e dell’ecosistema, si potrebbe definirlo “a misura di mulattiera”.
La ricezione turistica è in linea con la specificità dell’isola, si trovano essenzialmente delle camere che gli abitanti affittano, un piccolo ma incantevole residence, si contano un paio di negozi tipo spaccio, un bar ed un ristorante. Prendendo accordi, si può andare a cena a casa di qualche pescatore, una cucina davvero “in famiglia” dove si mangia insieme ad altri viaggiatori come voi.
Una considerazione da fare è che qui, ad Alicudi, le sorgenti prevalenti di energia motrice sono due: di tipo endotermico (i motori fuoribordo, delle barche e dei pescatori veri, qui ancora ve ne sono, e si va per mare per davvero) e di tipo animale, visto che per portare i bagagli sulle case in alto ci pensano i nobili muli e somari.
Non ci sono né strade né auto, in orizzontale vi è solo il viale che dall’unico molo dopo 200 m arriva fino all‘H della piazzola di atterraggio degli elicotteri, su cui i bambini giocano tranquillamente a pallone.
Il resto della viabilità è costituito da scalinate, viottoli, selciati, sentieri e mulattiere che si inerpicano sui ripidi costoni dell’isola, tutto e sistematicamente in salita, con sbalzi di quota notevoli.
Il paese si sviluppa di fatto in verticale sullo scosceso fianco della montagna, la quale esce prepotentemente fuori dell’acqua dai profondi fondali del Mar Tirreno.
Eppure, sono in tanti che decidono di comprare casa ad Alicudi, di stabilirvisi, di passarci tutta l’estate e di tornarci ogni anno, di diventare arcudari di fatto.
Ma che avrà quest’isola per rapire così tanti?
Vi hanno piantato radici gente che ha costituito una comunità che a mezza costa vivono senza elettricità e acqua corrente, miliardari in classifica Forbes che hanno casa nella contrada di Bazzina, scrittori, industriali, stranieri appassionati, puri metropolitani ed ineffabili businessman.
Un bel quesito, cui il viaggiatore vorrà cercare di dare risposte.
Sembra incredibile, eppure nel 1835 Alexandre Dumas, in navigazione alle Eolie, commentava con crudezza circa la stessa Alicudi… “C’est un coin de la terre oublié lors de la création, et resté tel qu’il était du temps du chaos” .

Oggi Alicudi non è aspra, non è selvaggia, però è tanto pungente, severa, ruvida.
Ma è generosa, sa offrirsi, è definibile come il rugby: “hard but fair“, dura ma leale.
Fa della salita, della pendenza verso l’alto, di queste “scalinate verso il cielo” (cit. Led Zeppelin) la sua caratteristica: mulattiere lunghissime e toste, senza riparo, con cambi di pendenza che tagliano il fiato.
Un’isola fatta per camminare e andare in montagna ma con il sistematico premio finale di un tuffo nel mare blu, anche questo letteralmente incontaminato. E’ un vero privilegio, lo si capisce subito.

Stairway to heaven

Se si viene per la montagna, si deve evidentemente partire e verso la montagna ci si inerpica. Vediamo che succede, iniziando il percorso.
La pendenza è già elevata in partenza, quando si supera l’ufficio postale e la piccola scuola pubblica dell’isola, resa famosa da alcuni servizi giornalistici recenti.
Si esce dal paese, sono salite faticose, mulattiere a gradini realizzate all’inizio del secolo scorso. Lungo il percorso erica e felci, carrubi e capperi, fichi d’india e ginestre, sempre in salita, con il solo ristoro costituito dalla vista strabiliante del blu del Mar Tirreno, puntellato all’orizzonte dalle altre sei sorelle delle Eolie (in realtà, Panarea è coperta da Filicudi). Si consuma acqua a litri.
L’ascensione continua tra bivi non ben segnalati, ma alla fine si raggiunge il riferimento base dell’ascesa, la Chiesa di S.Bartolo, di inizio ‘800 e considerata l’unico edificio storico dell’isola, un ottimo punto di sosta sia per la gradita ombra sia perché la vista che si offre sul Tirreno è pazzesca, come già detto uno scenario di cielo e mare del tutto regale.

La chiesa di S.Bartolo, con vista sul resto dell’arcipelago, da sinistra Stromboli, Filicudi, Salina, Lipari e Vulcano

Salendo ancora parecchie rampe, con scalini anche di 50 cm (roba per trekker sicuramente determinati) ad un certo punto la mulattiera spiana e ci si trova di fronte ad un caseggiato, minuscolo ma impressionante, assai significativo: è l’antico paese di Alicudi, si chiama appunto “la Montagna”. Esso è posto in quota perché gli abitanti al tempo potessero salvaguardarsi dalle incursioni dei pirati saraceni, fu abbandonato, scendendo verso l’attuale paese sulla costa, quando questa minaccia venne meno.
Il villaggio compare all’improvviso e, pur avendolo notato in mappa, si palesa inaspettato, dopo una curva stretta e ovviamente ripidissima. La sensazione di sorpresa, la fatica e la quota fanno correre il pensiero a luoghi e storie lontane, questo posto è veramente una specie di Machu Picchu del Tirreno.
Ed è abitato: ci sono famiglie di non residenti isolani che hanno scelto di vivere qui, almeno una parte dell’anno. Un luogo quanto meno disagevole, per non dire di peggio, ma che evidentemente sa offrire qualcosa di unico che certuni sanno cogliere.

La “Montagna”, l’antico villaggio originario

Riprendendo da qui, si può arrivare alla cima dell’isola a 675 m, ma le guide locali suggeriscono di proseguire a destra del bivio sull’altipiano (denominato con una certa fantasia “pianura”) il quale costeggia con un lungo semicerchio la predetta cima, dove un sentiero di circa un kilometro per lo più pianeggiante arriva sino all’estremo opposto dell’isola. Un vero balcone altissimo sul mare, tra sciare e dirupi, con una vista che letteralmente abbraccia il Tirreno occidentale.
A parte la ben visibile caldera dell’antico vulcano che in altre ere geologiche ha tirato fuori Alicudi dal mare, è notevole la felceta che copre l’altipiano e si chiude quasi completamente sul sentiero, a sommergere il viaggiatore, un vero e proprio mare di verde, anche questo inaspettato e salvifico dal caldo, che offre un fantastico contrasto cromatico blu-verde tra cielo e mare.
La discesa di rientro è solo apparentemente più agevole. Sì è vero che la gravità aiuta ma se si ritorna da un lungo e faticoso percorso di andata, allora muscoli e tendini sono decisamente provati ed ogni scalino a scendere è una frustata.
Al rientro, dopo almeno cinque ore, tutti in acqua, tuffo in mare giù al paese.

La verdissima felceta e laddove finisce la “Pianura”

Non si viene ad Alicudi per una generica vacanza di mare, perché se ne è sentito parlare, perché ci ha incuriosito avendola notata tra le offerte turistiche, tanto per provare e per vedere di che si tratta. Si rischiano fastidiose sorprese.

Su quest’isola si deve arrivare consapevoli, soprattutto determinati, sapendo bene che sussistono disagi e ruvidezze che possono anche essere importanti.
Ma una volta che di questa isola sarete consapevoli, che siate già sbarcati oppure no, saprete anche che Alicudi è ineludibile.
Saprete che c’è un prima e c’è un dopo, e quel dopo continuerà sempre ad attrarvi.

La chiamano l’isola del silenzio.
Ma forse di Alicudi si può dire che sia l’isola che si disvela.

Luna arcudara